Il Museo del Confetto Giovanni Mucci di Andria, l’attrazione che tiene testa a Castel del Monte

Pubblicato il 28 Apr 2014 da Gianvito Magistà

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Della passione della famiglia Mucci per il proprio lavoro ne abbiamo già parlato. Questa volta ci soffermiamo sulla storia e il forte legame che esiste tra la Confetteria Mucci Giovanni e la città di Andria.
Una storia che inizia nel 1894 quando Nicola Mucci, bisnonno di Mario, che oggi gestisce la confetteria con moglie e figli, decise di aprire una piccola fabbrica proprio nel centro storico di Andria, a due passi dalla Cattedrale.
Oggi, nella stessa sede storica di via Gammarota, si possono acquistare i famosi confetti e al piano sottostante si può intraprendere un magico viaggio nel passato.
Dove un tempo Nicola e i suoi successori producevano i confetti, oggi c’è un museo dedicato al dolcetto degli eventi speciali.
Una vera e propria attrazione della città di Andria come Castel del Monte. Anzi, qualche volta capita che su TripAdvisor, il Museo del Confetto di Mucci Giovanni scavalchi al primo posto nella classifica delle attrazioni da visitare il misterioso e mastodontico castello di Federico II di Svevia.
È proprio con questa frase, piena d’orgoglio, che la signora Enza, moglie di Mario Mucci, esordisce nell’accompagnarci tra gli antichi cimeli di famiglia, ripercorrendo il procedimento che trasforma una mandorla in confetto.
Le mandorle si aprivano una a una schiacciandole su una “chianca” in pietra per mezzo di un fermo di binari ferroviari. Questo strumento era indispensabile per non spaccare il frutto, che doveva obbligatoriamente restare intero. Il fermo dei binari, infatti, aveva un peso uniforme e rendeva più facile il lavoro.
Le mandorle che accidentalmente si spaccavano, venivano comunque riutilizzate per preparare la pasta di mandorle.
Di fronte alla chianca in pietra troviamo una macchina semplice, ma geniale: il pelamandorle. Dopo averle liberate del guscio, infatti, le mandorle bisognava pelarle. Si bagnavano innanzitutto con dell’acqua bollente e si versavano, dall’alto, nell’imbuto del pelamandorle. Questo, tremando, faceva staccare la pelle. Grazie ad un soffio d’aria proveniente dal lato destro della macchina, la pelle, più leggera, veniva indirizzata in un primo contenitore di raccolta, mentre le mandorle, più pesanti, cadevano in un altro. Semplice ed efficace.
Per preparare i famosi tenerelli, le mandorle pelate venivano tostate con dei tostini a mano, proprio come quelli per il caffè.
Mandorle tostate o meno, chicchi di caffè, nocciole e quant’altro, alla fine passavano nelle bassine. Una volta come oggi, le bassine sono quelle macchine che creano definitivamente il confetto. Una volta si ruotava a mano ad esempio, mentre ora c’è un interruttore. Ma il concetto di base è il medesimo: la bassina ruota con al suo interno le mandorle o qualsiasi altra anima da trasformare in confetto e il confettiere, davanti, versa al momento opportuno la sostanza sciolta che serve: lo zucchero, il cioccolato, il colore o la lucidatura. Ovviamente le varie sostanze non vengono versate tutte insieme, ma è un lavoro che si fa in fasi. Ecco perché la preparazione dei confetti è più o meno lunga. Per i tenerelli, ad esempio, ci vuole una settimana. Fino ad arrivare a un mese per i cannellini, i confetti più duri.
Ancora più indietro nel tempo, quando non c’era la corrente elettrica, al posto delle bassine si utilizzavano i branlant: tegami con tre manici appesi a delle corde che scendevano dal soffitto. Il calore arrivava dal basso. Con le braccia si muoveva il tegame (per ogni tipo di confetto c’era un movimento diverso) e il confettiere, come oggi, versava le sostanze sciolte sull’anima del confetto.
Anime di cioccolato, di mandorle o di nocciole. Quelle classiche. Ma nel museo si scopre anche come riempire i confetti di liquore. Quelli “Giovanni Mucci” hanno gradazioni alcoliche che arrivano fino a 30 gradi.
Continuando la visita si scopre che i tenerelli, per un po’ di tempo, non si sono più chiamati così ma “Mon Amour”, mandando in crisi gli andriesi tradizionalisti.
La Perugina, infatti, una cinquantina di anni fa, imitando il prodotto e brevettandone il nome, costrinse il piccolo negozio della famiglia Mucci a cambiare strada e trasformare i tenerelli nei confetti Mon Amour.
Quando, poi, più recentemente, l’azienda di Perugia ha cambiato proprietà e strategie non ha più prodotto i tenerelli, liberandone di fatto il nome.
Il tour continua nelle stanze dedicate al cioccolato e alle caramelle, dove si possono ammirare altri curiosi e antichi cimeli, come ad esempio una calcolatrice capace di fare solo addizioni e sottrazioni oppure un telefono antico da parete. Ma ci sono tantissime altre chicche da scoprire nel Museo del Confetto Giovanni Mucci. D’altronde se si tiene testa a Castel del Monte, un motivo ci sarà.

Giornalista professionista di Conversano (Bari), laureato in Scienze giuridiche, amante della Puglia e dei suoi prodotti enogastronomici. Ha vissuto e lavorato a Toronto, in Canada, dove è stato co-fondatore e direttore responsabile del settimanale Sud Italia News. /// Journalist from Conversano (Bari). He loves Puglia and its local food and wine products. He worked in Toronto, Canada, where he was the co-founder and the editor in chief of the Italian language weekly 'Sud Italia News'.

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